Museo Palatino
Nel cuore della Roma antica, sulla sommità del Palatino tra le maestose rovine della Domus Augustana, la gigantesca reggia degli imperatori, si trova un edificio dalle forme lineari e sobrie, che per decenni è stato dimenticato. Stiamo parlando del Museo Palatino, inserito nel recente programma di riqualificazione dell’ area, che ha riaperto al pubblico nel 1997 con un nuovo allestimento , in grado di valorizzare in maniera semplice ma corretta il suo patrimonio archeologico, che documenta con dovizia di reperti la storia della città eterna, dalla sua fondazione alla fine dell’impero. E’ un museo piccolo ma prezioso che vale la pena visitare proprio per comprendere appieno il ruolo determinante di questo colle , che ha avuto l’onore di ospitare il primo nucleo della Roma di Romolo, un piccolo villaggio di capanne in legno e fango da dove i romani sono partiti per conquistare il mondo e creare uno dei più vasti imperi del passato.
La sua storia ha più di un secolo, perchè l’idea di creare un “antiquario”(cioè uno spazio museale adatto a custodire i reperti ritrovati in questa zona)sul Palatino risale alla metà dell’ottocento. Ma in realtà soltanto nel 1936 il progetto fu concretizzato grazie alla volontà dell’archeologo Alfonso Bartoli, che decise di ristrutturare il convento della Visitazione, un edificio del 1868, per trasformarlo nella sede del nuovo museo. Bartoli diede il via ai lavori, che non furono però mai terminati a causa della guerra. Aperto per un breve periodo negli anni sessanta, il Museo è stato poi richiuso nuovamente: l’anno scorso, dopo un accurato ”maquillage”, ha riaperto i battenti per raccontare con dovizia di dettagli la nascita della città eterna.
La nostra visita comincia dal pianterreno della palazzina, dove quattro sale custodiscono le testimonianze più antiche, relative al cosiddetto “periodo arcaico”, che va dalla preistoria fino alla Roma repubblicana del primo secolo avanti Cristo. Proprio di fronte alla porta d’ingresso si apre la prima sala, che documenta la fase preistorica del colle, dove nel 754 a. c. Romolo fonda la città di Roma. Come dimostrano i reperti esposti, intorno all’ottavo secolo a. c. in cima al colle sorgeva un villaggio di capanne: l’archeologia ha quindi confortato con dati inoppugnabili l’origine leggendaria dell’urbe. Nelle sale successive ci si può rendere conto direttamente dell’aspetto di questo primo agglomerato , grazie ad un interessante plastico che mostra le capanne di fango dal tetto spiovente ricoperto di rami e paglia , costruite nell’area del Germalo, una zona del Palatino. I reperti presenti nelle vetrine laterali , che sono stati rinvenuti durante alcune campagne di scavi a partire dal 1948, riguardano prevalentemente oggetti relativi a corredi funerari, tra cui spicca quello ritrovato in una tomba infantile sotto il palazzo imperiale, costituito da coppe e anforette di bucchero, dal particolare colore nero. Tornate ora nella sala d’ingresso, che custodisce le testimonianze relative all’epoca repubblicana: altari di pietra, teste di statue in terracotta dipinta e lastre con motivi ornamentali che facevano parte della decorazione dei templi più antichi, mentre le massicce porzioni di muri che occupano una parte della sala facevano parte delle fondamenta della “Domus Flavia”, il palazzo degli imperatori.
Uscite all’esterno e salite al primo piano, dove potete ammirare le opere che documentano appunto il fasto del periodo imperiale. La quinta sala ricorda l’aspetto del Palatino sotto Augusto, che abitava in una “domus” nei pressi del tempio di Apollo, inaugurato dall’imperatore nel 28 a. c e splendente di marmi preziosi. Proprio da questo monumento proviene la maggior parte dei materiali qui esposti, che vanno dalle splendide erme femminili in marmo nero alle lastre di terracotta dipinta fino al grazioso affresco con l’immagine di Apollo con la cetra. La sala seguente, più piccola, custodisce invece i reperti relativi al periodo neroniano, tra cui spiccano alcuni affreschi con scene mitologiche, strappati dalla volta di un ninfeo della reggia imperiale, che lo scrittore latino Svetonio ha descritto come “tutto coperto di oro, pietre preziose e madreperla”. Da ammirare inoltre le raffinate tarsie marmoree in giallo antico, che rappresentano amorini danzanti.
La visita prosegue con le sale dedicate alla ritrattistica. E’ una suggestiva galleria di personaggi del “gotha” dell’impero scolpiti nel marmo con rara maestria: Domiziano e Settimio Severo; Nerone e sua madre Agrippina; Antonino Pio e Marco Aurelio; Adriano e gli imperatori “soldati” come Massimino il Trace e Balbino. Insieme a loro troviamo una folla di persone anonime, tutte caratterizzate da un elemento particolare: un maturo filosofo dalla barba arricciata, una giovane principessa dallo sguardo sfuggente, un adolescente dall’espressione malinconica. E poi volti di divinità, frammenti di architravi, intarsi di marmi policromi che facevano parte di decorazioni parietali. C’è perfino un frammento di intonaco che reca inciso un graffito “blasfemo”, con un uomo crocefisso con la testa di asino. Il percorso termina nella nona sala, il lungo salone rettangolare dove sono esposte le opere più significative: una serie di statue e sculture commissionate direttamente dagli imperatori e destinate a decorare i sontuosi ambienti dei palazzi imperiali. Opere di qualità molto elevata, che però riproducono copie di originali greci, realizzate da scultori come Prassitele, il più amato dai patrizi romani, Scopa o Lisippo. Ma come erano collocate all’interno della gigantesca reggia degli imperatori? Probabilmente dipendeva dai singoli soggetti. Atleti, satiri, ninfe e muse erano destinati agli spazi aperti: lussureggianti giardini, ricche biblioteche o spaziose palestre. Negli ambienti della vita quotidiana trovavano il loro posto statue di putti o giovani fanciulli, mentre le immagini pubbliche di imperatori o divinità venivano collocate nei luoghi pubblici e ufficiali. Insomma: per onorare l’imperatore c’era posto per tutti.
I capolavori da non mancare
Lastre votive
Terracotta dipinta
Quinta sala
Questi reperti, che risalgono al periodo augusteo, facevano parte probabilmente di alcuni fregi collocati nel Portico delle Danaidi, una costruzione adiacente al Tempio di Apollo, fatto erigere da Ottaviano Augusto sul Palatino e inaugurato nel 28 a. c. . Sono stati rinvenuti nel 1968, durante una campagna di scavo sul Palatino. Le lastre, in terracotta dipinta, rappresentano coppie di figure umane disposte intorno ad un oggetto centrale, per dare un ritmo alla composizione. I soggetti rappresentati erano tutti collegati al culto del dio Apollo. Tra le scene più conservate spicca l’immagine di Atena e Perseo con la testa della Gorgone, resa con una straordinaria finezza di dettagli.
Ritratto di giovane principessa
Busto in marmo bianco
Settima sala
Quest’opera , databile al II secolo d. c. , appare come uno dei migliori ritratti esposti nella sala, proprio per la straordinaria espressività dello sguardo della giovane donna, dalla fronte attraversata da una delicata frangetta, parte di un’elaborata pettinatura resa dallo scultore in maniera incredibilmente realistica. L’identità del personaggio è ancora indefinita: alcuni studiosi hanno voluto identificarla con Faustina Minore, moglie dell’imperatore Marco Aurelio, mentre altri ritengono che si tratti di una delle figlie di Faustina.
Musa seduta
Statua acefala in marmo bianco
Nona sala
Questa scultura , del II secolo d. c. , è stata ritrovata nel 1866 , durante gli scavi sul Palatino sostenuti da papa Pio IX. Rappresenta una giovane fanciulla seminuda, seduta su una roccia, dalle snelle gambe coperte da un panneggio assai elaborato. Si tratta della rappresentazione di una musa o di una ninfa, che faceva parte probabilmente di un ciclo di sculture destinate a decorare lo stadio del Palatino.
Afrodite del tipo Borghese
Statua acefala in marmo bianco
Nona sala
Afrodite viene qui rappresentata come una donna dal corpo saldo, avvolto da una sottile tunica, detta “chitone”, che fa risaltare la sua femminilità, resa ancora più evidente dal dettaglio del seno sinistro che trattiene un lembo dell’abito. Questa iconografia riprende un prototipo greco, databile intorno al 420 a. c. e ritenuto opera di un allievo di Fidia, Agorakritos di Paro. La migliore replica della sua Afrodite in ambito romano si trovava nella collezione Borghese (attualmente è conservato in un museo di Copenaghen): questa è una copia di grande qualità realizzata durante la dinastia degli Antonini (II secolo d. c. ).